Molti dei pesci che finiscono sulle nostre tavole mostrano un crescente e preoccupante aumento dei livelli di metilmercurio, una forma di mercurio organico molto tossico. Secondo ciò che afferma un recente studio dell’Università di Harvard, che appare sulla rivista scientifica Nature, le ragioni dietro questo fenomeno sarebbero legate non solo alle emissioni di mercurio nell’ambiente o alla pesca intensiva, ma anche al riscaldamento globale.
Il modello predittivo elaborato dagli scienziati non lascia scampo: se non ci sarà una presa di coscienza ed un’inversione di tendenza nei prossimi decenni i pesci saranno talmente inquinati da non poter più rientrare nella nostra dieta. Ma vediamo come gli scienziati sono giunti a simili allarmanti conclusioni.
Metilmercurio e catena alimentare
Il metilmercurio è un catione organometallico (catione monometilmercurio), molto tossico che si accumula facilmente nell’ambiente. Esso si forma in acqua attraverso il contatto del mercurio inorganico con batteri e plancton e da qui entra nella catena alimentare di tutti gli organismi marini.
Anche le alghe assorbono metilmercurio organico, nessuna creatura marina è risparmiata: gli animali che si nutrono di plancton e quelli erbivori (vertebrati e invertebrati: pesci, molluschi, crostacei, etc…) sono alla base della catena alimentare; gli animali predatori a loro volta acquisiscono il metilmercurio dalle loro prede, che tocca le concentrazioni massime nei grandi pesci predatori quali merluzzo, tonno e pesce spada. In cima alla catena alimentare infine abbiamo l’uomo.
Mangiare pesce fa male alla salute?
Il metilmercurio è un composto neurotossico capace di causare gravi danni al cervello e al sistema nervoso, sottolinea Reuters Elsie Sunderland, coautrice dello studio in questione, esso “è particolarmente dannoso durante il terzo trimestre di gravidanza, quando il cervello si sta sviluppando più rapidamente e per i bambini piccoli“.
Già da tempo viene sconsigliato alle donne incinte il consumo di pesce spada e di carne di squalo a causa degli alti livelli di mercurio in essi contenuti. Il merluzzo, altro pesce predatore, è invece consigliato come alimento ricco di nutrienti e proteine preziosi per lo sviluppo dei bambini.
Com’è cambiata la dieta dei pesci predatori dagli anni 70′ ad oggi
Un esempio pratico dell’accumulo di metilmercurio attraverso la catena alimentare è riportato nel nuovo studio di Harvard. I ricercatori hanno analizzato 30 anni di dati riguardanti l’ecosistema del Golfo del Maine nell’Oceano Atlantico. In particolare ci si è concentrati su ciò che due predatori marini – il merluzzo dell’Atlantico e lo squalo spinoso – hanno mangiato dagli anni 70′ agli anni 2000.
In questo arco di tempo per il merluzzo bianco i livelli di metilmercurio sono aumentati del 6-20%. Di contro i livelli di tale composto tossico nello squalo spinoso sono diminuiti del 33-61%. Com’è possibile? Proprio negli anni 70′ la popolazione di aringhe, preda sia del merluzzo che dello squalo, diminuì significativamente nel Golfo del Maine a causa della pesca intensiva.
Ciascuna delle due specie predatrici cominciò perciò rivolgersi ad altre fonti di cibo. Il merluzzo iniziò a predare pesci pilota e sardine, pesci più piccoli che in genere hanno un livello molto basso di metilmercurio e i livelli di metilmercurio nel merluzzo diminuirono. Lo squalo spinoso invece si rivolse a calamari e altri cefalopodi, che, essendo essi stessi predatori, possedevano livelli più alti di metilmercurio rispetto alle aringhe. Ciò portò ad un aumento di metilmercurio nello squalo spinoso.
Negli anni 2000, la popolazione di aringhe nel Golfo del Maine tornò alla normalità e a poco a poco, con il ritorno delle prede naturali di merluzzo e squalo, i livelli di metilmercurio nel merluzzo aumentarono, mentre quelle dello squalo si ridussero. Mentre per merluzzo e squalo la disponibilità di prede diverse può fare la differenza nell’accumulo di metalli pesanti, per altri pesci la spiegazione, come vedremo, non è così semplice.
Riscaldamento globale e aumento di metimercurio nei pesci
Osservando la dieta di un altro importante pesce predatore, il tonno, i ricercatori non sono riusciti a spiegare con altrettanta facilità il perché dell’aumento nelle sue carni negli ultimi anni dei livelli di metilmercurio. I tonni sono specie migratorie che nuotano a velocità molto elevate. Essi pertanto consumano molta energia e hanno bisogno di ingerire più cibo rispetto ad altri predatori.
Ma ci sarebbe un altro fattore-chiave che influenza quanta energia i pesci hanno bisogno per poter nuotare e quindi di quanto hanno bisogno di nutrirsi: il riscaldamento globale. Più è calda l’acqua, maggiore è l’energia che i pesci devono spendere per nuotare, il che significa che sono costretti a mangiare un numero maggiore di pesci più piccoli. Ciò ha come diretta conseguenza un maggior apporto e accumulo di metilmercurio in questi pesci.
Tra il 2012 e il 2017 il tonno rosso dell’Atlantico ha registrato un aumento dei livelli di metilmercurio del 3,5% l’anno. “La migrazione verso nord della Corrente del Golfo e le oscillazioni decadali nella circolazione degli oceani hanno portato a un riscaldamento dell’acqua di mare senza precedenti nel Golfo del Maine tra un punto basso nel 1969 e 2015, che colloca questa regione tra l’1% superiore delle anomalie documentate della temperatura dell’acqua di mare”, scrivono gli autori nel loro studio.
I ricercatori fanno previsioni allarmanti
Utilizzando tutte queste informazioni, i ricercatori sono stati in grado di elaborare un modello per prevenire il futuro aumento dei livelli di metilmercurio nelle specie marine. “Questo modello ci consente di esaminare tutti questi diversi parametri contemporaneamente, proprio come accade nel mondo reale”, spiega Amina Schartup, prima autrice dello studio.
Il modello suggerisce ad esempio che “per uno squalo spinoso di 5 [chilogrammi]”, un aumento della temperatura di 1 ° C nell’acqua del mare potrebbe portare a un “aumento del 70% delle concentrazioni nel tessuto di [metilmercurio]”. Per il merluzzo bianco, l’aumento sarebbe addirittura del 32%. “Essere in grado di prevedere i livelli futuri di mercurio nei pesci è il santo Graal della ricerca sul mercurio. A questa domanda è stato così difficile rispondere perché, fino ad ora, non avevamo una buona comprensione del perché i livelli di metilmercurio fossero così alti nei grandi pesci.”
Le strategie giuste per ridurre le esposizioni al mercurio
Ma come è possibile impedire una simile catastrofe? “Abbiamo dimostrato che i benefici della riduzione delle emissioni di mercurio sono validi, indipendentemente da ciò che sta accadendo nell’ecosistema. Ma, se vogliamo ridurre l’esposizione al metilmercurio in futuro, abbiamo bisogno di un approccio su due fronti“, avverte la Prof.ssa Sunderland.
“I cambiamenti climatici esacerberanno l’esposizione umana al metilmercurio attraverso i prodotti ittici, quindi per proteggere gli ecosistemi e la salute umana, dobbiamo regolare sia le emissioni di mercurio che i gas a effetto serra“. Non tutto è perduto dunque, ma occorrono strategie efficaci per impedire che si avverino gli scenari apocalittici mostrati dal modello elaborato dagli scienziati di Harvard. Sunderland cerca di rassicurare il consumatore affermando che: “Non è che tutti dovrebbero essere terrorizzati dopo aver letto il nostro documento e dovrebbero smettere di mangiare prodotti ittici, alimenti molto salutari e nutrienti”.
Nessun allarmismo dunque, ma solo un severo monito: “Volevamo mostrare alle persone che i cambiamenti climatici possono avere un impatto diretto su ciò che si mangia, cioè che queste cose possono influenzare la salute”.
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